Il contratto di locazione transitorio è stato previsto dall’art.2, comma 1 del Decreto 30 dicembre 2002, e cerca di rendere più flessibile la disciplina dei contratti di locazione degli immobili a scopo abitativo, in modo da adeguarla alle esigenze effettive del mercato.
Tale tipologia contrattuale consente alle parti di concordare una durata inferiore a quella minima prevista per i contratti a canone concordato, quelli di 3 anni. In sostanza, qualora almeno una delle due parti avesse un’esigenza temporanea per la locazione dell’immobile, questa dovrà essere specificata in un’apposita clausola. Se tale esigenza afferisce all’inquilino o conduttore, dovrà essere documentata. Ad esempio, se si tratta di uno studente che ha bisogno dell’immobile per poche settimane o pochi mesi, al fine di svolgere un master, oppure di un lavoratore in trasferta presso una zona distante da quella in cui risiede abitualmente. Se, invece, l’esigenza transitoria è del proprietario o locatore dell’immobile, allora sarà sufficiente che essa venga esplicitata nell’apposita clausola, ma non anche documentata.
Le norme prevedono che la durata minima del contratto sia di un mese e quella massima di 18 mesi. Non esistono obblighi di rinnovo alla scadenza. Se il contratto fosse stato stipulato per un periodo inferiore ai 30 giorni, esso sarà automaticamente elevato a una durata di un mese; se fosse stato stipulato per una durata superiore ai 18 mesi, sarà automaticamente abbassato a non oltre tale limitazione massima consentita.
Se alla scadenza del contratto si ha ancora l’esigenza di usufruire dell’immobile per un periodo transitorio (il corso universitario è durato oltre il previsto, la trasferta è stata prorogata, etc.), le parti hanno la possibilità di prorogare i termini, fermo restando che la clausola debba essere confermata e documentata l’esigenza, nel caso in cui afferisca all’inquilino.
Al contrario, se l’esigenza transitoria è venuta meno nel corso del contratto di locazione e le parti non rescindono quest’ultimo, esso sarà trasformato in un contratto a canone libero, ovvero della durata di 4 anni e rinnovabile per altri 4 anni.
Tale trasformazione si ha anche nei casi in cui le parti concordino un periodo di locazione inferiore al minimo dei 3 anni previsto per la tipologia a canone concordato, ma dimentichino di esplicitare nell’apposita clausola le ragioni di tale transitorietà, né la documentino, ove richiesto.
Detto ciò, dobbiamo sapere che anche i contratti di locazione transitori consentono al proprietario dell’immobile di avvalersi della cedolare secca quale regime fiscale alternativo a quello ordinario. Si tratta di una forma di tassazione dei canoni percepiti nell’anno solare differente da quello consueto. Quest’ultimo assoggetta tali canoni per il 95% alla tassazione Irpef, all’85% fino al 31 dicembre del 2014, per cui l’aliquota effettivamente versata dipenderà dal reddito complessivo dichiarato dal proprietario. Più esso sarà alto, più salirà l’aliquota Irpef, che allo stato attuale è prevista da un minimo del 23% per i redditi fino a 15.000 euro lordi all’anno a un massimo del 43% per i redditi superiori ai 75.000 euro lordi annui. Non è possibile, in questo caso, stabilire a priori quanto si dovrà versare al Fisco sui canoni percepiti, dipendendo dalla propria situazione reddituale e personale complessiva.
Invece, la cedolare secca tassa al 21% i canoni percepiti, al 10% quelli derivanti da un contratto di locazione a canone concordato, ovvero il cui limite mensile per metro quadrato sia stato fissato dagli accordi territoriali intercorsi tra i rappresentanti dei proprietari di immobili e quelli degli inquilini.
A questo punto ci chiediamo se un contratto di locazione transitorio consenta al proprietario di avvalersi dell’aliquota agevolata del 10%, quella prevista per i contratti a canone concordato. La risposta non è certa, ma dovremmo tendenzialmente rispondere di no. L’articolo 8, comma 3, della legga n.413/1998, esclude i contratti di natura transitoria dalle agevolazioni fiscali, quali potrebbe essere considerata proprio la tassazione agevolata di cui sopra. Questo, perché il legislatore ritiene che tali contratti beneficino già della minore durata prevista, per cui non dovrebbero essere ulteriormente agevolati. Inoltre, si vuole evitare di incentivare forme contrattuali instabili, a discapito di quelle più comuni.