Da alcuni anni, i proprietari di immobili concessi in locazione ad uso abitativo hanno a disposizione in Italia due alternative per assoggettare a tassazione i redditi percepiti dai canoni mensili riscossi nell’anno. Essi possono continuare, come in passato, a sottoporre tali entrate alle aliquote Irpef oppure potranno decidere di pagare un’aliquota forfetaria, che è pari al 21% per i contratti a canone libero e del 10%, fino al 31 dicembre del 2017, successivamente risalirà al 15%, per i contratti a canone concordato. Quest’ultimo sistema si chiama anche cedolare secca.
Il proprietario dell’immobile locato dovrà comunicare la decisione al conduttore e potrà decidere di anno in anno di avvalersi dell’una o dell’altra forma di tassazione, sulla base della convenienza che egli riterrà di potere ottenere.
A questo punto, sorge spontanea una domanda, ma è più conveniente la cedolare secca o la tassazione ordinaria del regime Irpef.
Iniziamo subito col dire che, come verificheremo, non si può fornire una risposta valida per tutti. Anzitutto, precisiamo che l’aliquota del 21% con la cedolare secca riguarda gli immobili locati con il contratto del tipo 4+4, ossia di durata quadriennale e rinnovabile per altri 4 anni, ossia la stragrande maggioranza di quelli a scopo abitativo.
A prima vista, converrebbe questa tassazione, piuttosto che sottoporre i canoni alle aliquote Irpef, visto che la più bassa è in Italia del 23%, per i redditi fino ai 15000 euro annui lordi, e la più alta arriva al 43%. Inoltre, per i contratti che si avvalgono della cedolare secca non è dovuto il pagamento dell’imposta di bollo e di registro, che in assenza di specifiche previsioni contrattuali è suddiviso in parti uguali tra locatario e locatore.
Tuttavia, il proprietario che si avvale della cedolare secca non può, per esempio, rivalutare il canone annualmente sulla base degli indici Istat sul costo della vita. Da qui la comunicazione obbligatoria al conduttore o inquilino della scelta tra le due alternative di tassazione, in modo che egli sia a conoscenza sulla possibilità o meno che il canone gli sia rivalutato.
Ma il vero discrimine riguarda un altro aspetto. Le aliquote medie Irpef possono essere abbattute per il sistema delle detrazioni fiscali. Chi ha un reddito molto basso, ad esempio, non paga effettivamente il 23% di quanto dichiarato, ma molto di meno, perché sulle entrate derivanti dal lavoro dipendente ha diritto, tra l’altro, di una detrazione fissa di 1.880 euro, il che implica che sui primi 8.000 euro lordi circa non saranno pagate imposte. Per il resto, molto dipende dalla situazione personale del contribuente. Per intenderci, un soggetto che abbia a carico coniuge e figli avrebbe diritto alle relative detrazioni, così come per le spese scaricabili fiscalmente, si pensi a quelle sulla ristrutturazione di un immobile, agli interessi sul mutuo casa o alle spese sanitarie.
Per essere chiari, un individuo con reddito medio basso tende a pagare un’aliquota media spesso di gran lunga inferiore a quel 21% che sarebbe versato con la cedolare secca. Si aggiunga, infine, che l’Irpef graverebbe sul 95% dei canoni percepiti, in passato sull’85%, e sul 70%, se questi sono riscossi sulla base di un contratto a canone concordato.
Passando proprio a quest’ultima forma contrattuale, parliamo di quegli immobili, il cui canone mensile per metro quadrato è soggetto alle limitazioni concordate dalle associazioni di categoria locali, in rappresentanza degli inquilini e dei proprietari di case. I contratti hanno durata triennale e sono rinnovabili per altri 2 anni.
Questi scontano un’aliquota del 10% con la cedolare secca, che dovrebbe essere di gran lunga, a questo punto, più conveniente della tassazione Irpef, che grava sul 70% dei canoni percepiti. Ma anche in questo caso, prima di fare riflessioni generali, bisogna tenere conto delle situazioni specifiche del contribuente.
Possiamo affermare, dunque, che la cedolare secca tende ad essere più conveniente del regime di tassazione ordinario, se il proprietario dell’immobile locato a scopo abitativo dichiara per l’anno di riferimento un reddito medio-alto, tale che, tenuto conto delle detrazioni ammesse, la sua aliquota media Irpef sia superiore al 21% per i casi di contratti a canone libero o del 10%, per i casi di contratti a canone concordato.
Viceversa, se il reddito dichiarato risultasse medio-basso, potrebbe risultare più conveniente l’assoggettamento al regime fiscale ordinario, ma bisogna avere in questi casi la pazienza di farsi due calcoli all’inizio dell’anno, in modo da optare per la tassazione realisticamente e presumibilmente più leggera.
Risulta essere ovvio che, dovendo decidere prima di conoscere il proprio reddito annuo, la scelta sarà probabilmente sempre soggetta a una certa aleatorietà, specie se si ha un reddito derivante da attività autonoma. Viceversa, se si è un lavoratore dipendente, la situazione finanziaria è più stabile e, quindi, maggiormente prevedibile.
Nel caso in cui l’immobile risultato cointestato a più soggetti, ognuno dovrà optare singolarmente per il regime di tassazione che riterrà più opportuno per sé e il calcolo va eseguito, com’è ovvio, relativamente alla propria quota di canone percepita nell’anno.